martedì 29 luglio 2014

Il tempo e la storia : la linea del tempo come strumento didattico

Tiki-toki: web based software per divulgatori storici

La consapevolezza del ritmo del tempo e della concatenazione di eventi nella didattica della storia è fondamentale educare al tempo della storia.
La storia è scienza del tempo, è ricostruzione fatta dagli storici del divenire dell’umanità in un tempo e in uno spazio. Esistono più tempi storici, paralleli, consecutivi o in collegamento tra loro così come esistono spazi di tempo in cui lo storico struttura l'evoluzione di un dato evento. Il tempo degli storici fa riferimento ad un tempo incorporato ai documenti, ai fatti nonché alle domande che gli storici pongono al passato, oggetto della storia.
Una delle operazioni adottate dallo storico per fare storia e per divulgarla consiste nel periodizzare gli eventi e contestualizzare un argomento per poterlo in seguito analizzare.
Nella didattica della storia, uno strumento fondamentale per la comprensione della cronologia della simultaneità e del punto di vista è costituito dalla linea del tempo. Essa coincide con il concetto soggettivo che ha lo studente non specializzato quando si approccia alla storia, in quanto fa riferimento ad un’ipotetica linea del tempo piana, retta o corrispondente al tempo assoluto, costante o obiettivo.

La linea del tempo, o più interattivamente "timeline" rappresenta uno strumento immediato ed efficace per visualizzare in forma grafica una serie di eventi distribuiti in successione cronologica su un determinato asse virtuale, variamente definito in scansioni temporali. Con lo sviluppo di linguaggi crossmediali, ossia quei linguaggi che mettono in connessione più mezzi di comunicazione simultaneamente, l'utilizzo della timeline sta diventando una prassi sempre più diffusa, come dimostra il numero crescente di web application disponibili in rete e, contestualmente, l’aumento della percezione delle sue potenzialità in ambito educativo.

Ultimamente con lo sviluppo della mediazione culturale e l'applicazione di tale strumento alla didattica più generalmente concepita, le istituzioni pubbliche come i musei nonché gli enti a carattere divulgativo culturale ritrovano nella timeline una possibilità di agevole espressione e divulgazione di tematiche storiche e culturali, o semplicemente fatti ed eventi di vasta complessità. E' il caso ad esempio della testata giornalistica Il Sole 24ore che in ragione degli ultimi tragici scontri di Gaza, nella sezione online infodata blog ha pubblicato una "periodizzazione" del conflitto israelo-palestinese attraverso l'utilizzo di una timeline lineare ma complessa, che ripercorre le tappe e le date salienti della nascita del conflitto. 

Time-line del conflitto israelo-palestinese 
Il Sole 24ore - Rubrica: Info Data Blog - 15 luglio 2014

Benché si tratti di una linea del tempo che attinge alle informazioni di Wikipedia, un'enciclopedia di divulgazione open source, in cui ogni lettore può inserire contenuti e pertanto non propriamente adatta ad essere utilizzata come fonte per l'elaborazione di uno strumento di divulgazione storica da parte di una testata giornalistica autorevole, ciò che rimane interessante è la possibilità di semplificare ad un primo livello di conoscenza la storia complessa del conflitto mediorientale attraverso una ricognizione di date, tempi e luoghi in una linea del tempo. Questo permette al lettore non esperto e a volte "di passaggio" di poter proseguire la propria conoscenza approfondendola attraverso nuove fonti, più istituzionali.

Esistono decine di servizi web e software gratuiti oltre che open source che permettono di realizzare timeline interattive attraverso il metodo narrativo dello storytelling: tra questi il più interessante è Tiki-Toki una piattaforma digitale open source che permette di creare timeline complesse o semplici, lineari o in 3d per qualsiasi tipo di utilizzo. Tra tutti gli strumenti web di analisi e divulgazione di informazioni del genere è difficile districarsi tra essi per scegliere quelli più adatti per un utilizzo didattico.

Tiki-Toki è un’ applicazione online che, previa sottoscrizione di un account, consente di creare timeline dallo stile grafico decisamente all'avanguardia e accattivante, inserendovi testi, immagini e video e visionandone poi i vari dettagli mediante la visualizzazione di apposite finestre popup. Il cursore posto in basso consente di muoversi cronologicamente per inserire i vari elementi e cliccando in un punto specifico si riesce a vedere tutto il contenuto presente nella timeline. È possibile creare all'interno della stessa timeline, due o più linee del tempo parallele, per poter osservare un evento storico sotto diversi filtri e punti di vista.

Si tratta di un software che non richiede alcuna installazione, si lavora, infatti, direttamente online e si dispone di un proprio account con un pannello di controllo che consente di gestire le principali operazioni consentite: creazione e pubblicazione di timelines, inserimento documenti fotografici, video e commenti, configurazione permessi, ed esplorazione dell'archivio online di timelines realizzate da altri. Tutti questi servizi prevedono una registrazione gratuita che ha determinate limitazioni così come una versione pro a pagamento. Ciò che è interessante è che nella pagina introduttiva di tiki-toki, il software è stato impostato per essere letto in chiave didattica: è subito definito il pubblico di destinazione all'utilizzo del programma. 

Nella sezione our target audience, inserita all'interno stesso di una timeline che riassume le funzionalità di tiki toki rispondendo alla domanda: who are aiming tiki-toki at?, ovvero qual'è il fruitore tipo dello strumento tiki-toki. In questa sezione, vengono presentati i possibili destinatari, manifestando la consapevolezza che sia comunque uno strumento fruibile da ogni tipo di pubblico. Il target tipo è suddiviso tra: Giornalisti e professionisti dei media per i quali è offerta la possibilità di sperimentare metodologie alternative del servizio di informazione; gli insegnanti, ai quali è offerto un metodo divertente per educare i bambini al tempo della storia.
Tiki-toki si propone come strumento di storytelling per creare short stories personali sulle famiglie, una sorta di album fotografico interattivo con date e luoghi come un diario di famiglia. Una particolare attenzione è data alla possibilità di commemorare in maniera alternativa la vita di un membro di una famiglia, pubblicando e raccogliendo in timeline documenti fotografici e tracce della persona.

Il target di Tiki-toki

Terminata la timeline, tiki-toki offre la possibilità di esportarla in file CSV o di salvarne un pdf, oltre la possibilità costante di consultare la timeline connettendosi al sito online.

Per quanto concerne il processo di creazione della timeline questo appare abbastanza semplice ed alla portata di tutti, seguendo sopratutto le linee guida offerte in finestre pop up per ogni funzionalità. La piattaforma offre una perfetta integrazione con YouTube, Vimeo e Flickr permettendo di agigungere contenuti e di collegare le stories ai siti web preposti.

Sebbene sembri una piattaforma digitale perfetta e senza pecche, purtroppo l'obbligo di proseguire in lingua inglese, anche per le linee guida e per tutti i tools può rappresentare un vincolo ad un solo pubblico anglofono esperto, escludendone dall'utilizzo tutti quei fruitori che masticano la lingua ma non con agevolezza.

Inoltre, la teconologia open source gratuita, è offerta per una sola volta: è difatti possibile creare una sola timeline gratuitamente, poichè in seguito viene offerta la possibilità di accedere a diverse tipologie di account premium. La prima timeline "pilota" è tuttavia costantemente consultabile e modificabile in qualsiasi momento da parte dell'utente registrato. Tiki toki rimane senza dubbio uno dei software web based di linee del tempo più belli dal punto di vista grafico, di più semplice utilizzo e più completi per le funzionalità ma questi piccoli difetti, limitano il suo utilizzo ad un determinato pubblico o magari alle aziende ed enti istituzionali che possano disporre delle risorse per accedere agli account premium.

In definitiva, é interessante scoprire come, il legame tra tempo storia e divulgazione sia fortemente influenzato dal il rapporto vivace che l'immagine e il campo visivo intrattengono con la memoria, sia essa quella collettiva, sia essa quella individuale; nel presupposto, scaturito dalla riflessione di Maurice Halbwacs, che sia l’una sia l’altra siano un prodotto sociale e socialmente determinato. Allo stesso modo l'utilizzo di linee del tempo, interattive, colorate che non siano altro che una raccolta scandita e precisa di documenti fotografici e video, rimanda all'importanza dell'immaginario e del rapporto emotivo intrattenuto tra storia e memoria.

Tiki-toki timeline: "The fight for Democracy in the Middle East" di Alex Kearns



lunedì 28 luglio 2014

La ragazza dell’orecchino di perla in 3D: il tour virtuale di Palazzo Fava

Dall’8 febbraio al 25 maggio di quest’anno, Palazzo Fava ha ospitato la mostra La ragazza con l’orecchino di Perla, un evento che ha animato il dibattito sulle politiche culturali della città di Bologna e ha messo in moto, al tempo stesso, una serie di strategie comunicative per promuovere i capolavori in arrivo dal Mauritshuis dell’Aia. Tra queste, la presenza di un tourvirtuale al quale si può accedere dalla home page della mostra sul sito dell’ente organizzatore Linea d’ombra.

La ricostruzione virtuale delle trentasette opere fiamminghe esposte ha lo scopo di invogliare il pubblico forestiero a visitare dal vivo la mostra dandone un primo assaggio e celebra, grazie a una grafica tridimensionale altamente sofisticata, “l’impresa” compiuta nel portare il famoso dipinto nel capoluogo emiliano siglando il primato italiano su Roma e Milano e contando, alla fine della fiera, oltre trecentomila visitatori e un notevole indotto economico sulla città. Ma per quanto possa sembrare paradossale, del virtual tour si è parlato molto poco sui media, sebbene si presti bene come strumento di marketing territoriale, ormai assodato all’estero nei principali musei e tutt’altro che scontato nel Belpaese dove, se c’è, non raggiunge il livello qualitativo proposto da Linea d’ombra. Il dato, quindi, è tutt’altro che irrilevante, perché pone effettivamente Palazzo Fava e la mostra stessa su un piano internazionale: obiettivo fondamentale dell’operazione culturale che la città e l’organizzazione volevano raggiungere.

Immagine tratta dal sito: http://www.lineadombra.it/virtualtour/ragazza-con-orecchino/index.html


La schermata iniziale si apre con l’ingresso alla mostra e fin da subito l’impatto visivo è notevole: una prima inquadratura mostra il pannello espositivo raffigurante il quadro-simbolo della ragazza e si sposta automaticamente verso la prima sala, mentre una musica, ben scelta e ben abbinata, accompagna l’introduzione del curatore Marco Goldin. In basso a destra  ci sono i comandi direzionali, che permettono di navigare dentro il museo, di zoomare e di ingrandire a schermo intero l’immagine tridimensionale, mentre sulla sinistra il pulsante mappa dà un prospetto generale delle sette sale di Palazzo Fava sul quale è possibile cliccare per visitarle nel dettaglio, un tasto “info” evidenzia il periodo di esposizione della mostra e un terzo tasto, presente solo in questa schermata, permette di ascoltare l’audio introduttivo. Grande pecca: se il virtual tour è pensato per proiettare la mostra, il Palazzo e la città su scala internazionale non può non esserci la traduzione in lingua inglese. La sua assenza mostra che il target di riferimento è estremamente limitato o che comunque la grande operazione estetica, senz’altro riuscitissima, è meramente autoreferenziale. Lo stesso audio - giustamente esiguo essendo compito del virtual tour dare solo un primo assaggio dei contenuti – è tratto dalle audioguide: scelta comprensibile ma, una volta finita l’introduzione del curatore, le indicazioni dettagliate sui tasti da premere una volta entrati fisicamente nel museo sono superflue e poco adatte alla visita 3D.

Dettaglio degli affreschi di Palazzo Fava

Il tour virtuale è comunque entusiasmante: la navigazione procede in modo fluido e senza rallentamenti e lo zoom è ben calibrato perché permette di leggere il primo pannello esplicativo, “Il Mauritshuis del futuro”, negando la stessa possibilità a quelli delle altre sale, segno che il criterio di mantenere una solida barriera tra la visita virtuale e quella reale è stato rispettato. Notevole è la riproduzione dei singoli quadri: ben visibili quelli più grandi, più sfocati quelli di dimensioni più piccole. Ad ogni modo su ciascuno è riportata una didascalia che indica nome del pittore, titolo dell’opera, anno e dettagli del quadro. È così possibile procedere per le sette sale divise in sei tematiche (La storia del Mauritshuis, Paesaggi, Ritratti, Interni con figure, Nature Morte e infine La Ragazza con l’orecchino di perla) e ascoltare la spiegazione prevista per tre soli quadri: Paesaggio boschivo con casolari di Meindert Hobbema, Uomo che fuma e donna che beve in cortile di Pieter de Hooch, Canto di lode di Simeone di Rembrandt. La scelta non è affidata al caso: i primi due sono di artisti meno noti al grande pubblico, ma rappresentano le specialità dei pittori fiamminghi, ovvero paesaggi e ritratti, mentre il terzo è un nome celebre, tuttavia il quadro selezionato si vede poco bene per le sue piccole dimensioni. Invece, al celebre ritratto-icona di Vermeer, in solitudine nell’ultima sala, non è stato posto alcun limite di visione. Di particolare rilievo, è la trasposizione dei soffitti e degli affreschi di Palazzo Fava: muovendo il mouse verso l’alto è possibile, per ciascuna sala, godere della fedele riproduzione, a cui forse si poteva aggiungere qualche informazione didascalica essenziale, per evidenziarli all’attenzione del visitatore evitando che quest’ultimo li tralasci.

http://www.lineadombra.it/virtualtour/ragazza-con-orecchino/index.html


Visto il potenziale e le risorse del virtual tour, resta un’ultima perplessità: l’assenza totale di riferimenti nei siti turistici e istituzionali, col rischio di non sfruttare i benefici di un evento che ha caratterizzato la città di Bologna.

Il Fascismo e la sua Architettura. Alla scoperta del razionalismo italiano con il CE.S.A.R (Centro Studi Architettura Razionalista).

“Fascio e martello, viaggio per le città del duce” di Antonio Pennacchi, ha rappresentato nel 2008 una pietra miliare per lo sdoganamento di un tema spinoso dietro al quale, per diversi decenni, si è fatto della retorica politica, campo di scontri ideologici mai veramente sopiti. Pasolini già aveva indicato la strada da seguire quando, nel lontano ’74, la Rai trasmise un breve documentario “Pasolini e …la forma della città” a cura di Paolo Brunatto nel quale veniva riabilitata Sabaudia: “[…]Sabaudia è stata creata dal regime però non ha niente di fascista in realtà […]”.

 Cosa fare quindi delle migliaia di edifici ereditati dal periodo nefasto della dittatura dopo essersi ricordati di non compiere una defascistizzazione del contesto storico, ossia non approfondendo i rapporti di causa-effetto tra architetti e Mussolini e tra architettura e fascismo? Spesso l’establishment degli storici italiani è rimasto confinato dietro la cortina di ferro dello scontro ideologico, incapace di rimarginare una ferita che dopo 70 anni dovrebbe essere chiusa. Le Sovrintendenze hanno pensato a catalogare e a tutelare il vasto patrimonio storico-architettonico disperso, Pennacchi ha portato il tema all’interno delle case, anche tra coloro che erano soliti osservare ingenuamente la pomposità dei palazzi delle questure, delle caserme e degli istituti assistenziali disseminati a migliaia in tutt’Italia. A Roma, pochi anni prima che il fenomeno diventasse di massa, sorse un “movimento” lungimirante, un gruppo di architetti decise di “compromettersi” affrontando in modo storico-scientifico, lontano dalla strumentalizzazione politica dell’architettura, l’interessante periodo che ha contraddistinto i vent’anni di regime, analizzando le correnti architettoniche, le riviste scientifiche del settore, le evoluzioni urbanistiche. Nacque così, il 10 maggio 2006, il CE.S.A.R, Centro Studi Architettura Razionalista (Fondazione CE.S.A.R onlus). Il CESAR è oggi il principale soggetto in Italia che si occupa di tutela, restauro e valorizzazione di edifici e complessi urbanistici di matrice razionalista frutto di una concezione urbanistica capace di coniugare funzione sociale e pregio architettonico. Promuove e organizza convegni, corsi di formazione, seminari, mostre; imbastisce collaborazioni con enti scientifici, universitari, istituzioni pubbliche e private. I due settori di attività – culturale e restauro-tutela – si intervallano tra loro, si completano e si autoalimentano in una capacità d’azione multidisciplinare e multisettoriale. Molti architetti di fama internazionale hanno appoggiato l’intento, da Léon Krier (urbanista, consulente del Principe Carlo d’Inghilterra) – che è all’interno del Comitato Scientifico- a Fuksas. 
Va ricordato che, spesso, il CESAR agisce e opera in stretto contatto con gli enti pubblici; ciononostante nelle strategie di comunicazione che caratterizzano l’era digitale, ha deciso di elaborare un portale internet attraverso il quale è possibile scandagliare il tanto materiale prodotto dalla Fondazione in questi anni. Un portale sobrio, ben organizzato e, allo stesso tempo, efficace, anche se dovrebbe essere arricchito con materiale che potrebbe – a latere degli scopi della fondazione – integrare e completare il vasto panorama dell’architettura razionalista in Italia, configurandosi come il principale sito internet del settore: una proposta inerente potrebbe essere l’inserimento di una sezione con carta geo-referenziale, ove sia possibile consultare il materiale razionalista di ogni città della penisola catalogato e fotografato. Esplorare il sito è molto semplice, a partire dalle sezioni del pannello di controllo, in rosso sulla sinistra, intuitive ed immediate.
 Tra le voci di maggior interesse c’è “Editoria”, suddivisa in quattro sottotemi (Bimestrale, Quaderni, Critica alla Modernità, Pubblicazioni) nella quale è possibile consultare on-line il materiale elaborato che si contraddistingue per l’alto valore scientifico. Il pdf disponibile è apprezzabile in quanto ci permette di venir a contatto con immagini e disegni di pregio e in alta definizione. “L’alluminio nell’E42- l’arco imperiale”, “Angiolo Mazzoni e l’architettura futurista” sono solo alcuni dei tanti documenti che si possono trovare in modalità totalmente gratuita.

La sotto-sezione Critica alla Modernità ospita le riflessioni dei maggiori architetti contemporanei che svolgono una serrata critica al “pensiero modernista dominante”, come Nikos A. Salingaros e CamilianDemetrescu, del quale è presente un inserto speciale in dvd ed interamente consultabile. Nella sezione Multimedia si possono poi vedere diversi video ed interviste ad architetti di fama; non passa però inosservato il video “Eurininterrotta”, dove viene inscenata la grandezza del quartiere Eur a Roma mediante una ricostruzione tridimensionale del piano originale dell’E42, secondo i disegni originali conservati presso l’archivio Eur; da notare anche la ricostruzione virtuale dell’edificio del Teatro Imperiale, mai realizzato, disegnato da Moretti. Attraverso la sezione “Articoli” invece – che raccoglie gli articoli usciti sui quotidiani locali e nazionali sull’architettura razionalista- possiamo renderci conto dell’interesse riportato verso questa materia sia dagli esperti del settore che, pian piano, dalle amministrazioni pubbliche. Quel movimento di riscoperta consolidatosi a Roma circa 10 anni fa è diventato oggi di tendenza; è giusto segnalare il progetto ATRIUM (Architecture of Totalitariam Regimes of the XX century in Urban Management), una rotta culturale europea – che ha come capofila il Comune di Forlì- che si propone la valorizzazione economica del patrimonio architettonico ereditato dai regimi totalitari del XX secolo, fascisti e comunisti, in 11 paesi d’Europa. Il portale internet CE.S.A.R, porta di ingresso attraverso cui scoprire ed iniziare l’approccio verso l’architettura di regime, necessita di un continuo aggiornamento che non sempre è presente. Diverse migliorie possono essere apportate, da un restyling grafico alla creazione di un patrimonio fotografico e di un data base in cui consultare i progetti in versione open source.

domenica 27 luglio 2014

I luoghi della Grande Guerra: itinerario virtuale e reale tra memoria, storia e presente

“I luoghi della Grande Guerra”, è la app scaricabile gratuitamente sia per sistemi Android che per iOS, per smartphone e tablet. Uno strumento “smart”, concreto e dinamico per accompagnare i turisti lungo sentieri ricchi di tracce, segni, monumenti che rievocano storie passate. 
La tecnologia al servizio della memoria, dunque, per dare voce ai luoghi che hanno rappresentato un capitolo importante della nostra storia. In quest’ottica Friuli Venezia Giulia, Veneto, Lombardia, Trentino, Alto Adige aprono le porte al turismo culturale promuovendo un progetto interregionale di recupero e condivisione dei luoghi che cento anni fa sono stati teatro della Grande Guerra. 

Home Page
Attiva dal febbraio 2013, l’applicazione nasce in seguito alla messa in linea del sito internet “Itinerari della Grande Guerra”. 
Si presenta con una grafica estremamente semplice. 
La Home Page è caratterizzata da una vuota pagina nera in cui è possibile scegliere un’unica opzione che rimanda al cuore dell’applicazione “Itinerari della Grande Guerra”. 
Solo a questo punto si può navigare “realmente” tra i contenuti proposti. 
Viene fornita al turista una doppia chiave di navigazione: “Visita Libera” e “Itinerari Guidati”. Come si può immaginare, in questo modo il turista ha la possibilità  di scegliere tra un percorso personalizzato (il primo) e uno   suggerito e orientato (il secondo). Scegliendo la Visita libera, molto utile risulta la possibilità di individuare i luoghi di interesse nelle immediate vicinanze - cliccando sull’opzione “Vicino a te” -. Dopo aver attivato il GPS sarà infatti possibile effettuare una verifica entro il raggio di 4 chilometri. L’alternativa è rappresentata dall’etichetta “Punti di interesse” in cui si dispiega un lungo elenco di monumenti, cimiteri, chiese, ossari, forti, colonne, statue, musei, mostre (permanenti e non). Se invece l’utente fosse interessato a seguire le proposte degli “Itinerari guidati” vengono individuati 20 percorsi come il Tour dei forti, il Museo all’aperto del Monte Ermada, l’Itinerario della Val Dogna e via discorrendo. Per tutti i punti di interesse e gli itinerari suggeriti, viene fornita una breve ma interessante descrizione, sia sulla rilevanza storica che sulle motivazioni legate alla scelta di determinati percorsi. 

Fondamentale e centrale la mappa interattiva.

Mappa 

Tramite Google Maps, viene scelto un territorio circoscritto rappresentato graficamente da una linea che indica la strada da percorrere, e da puntatori per i luoghi di interesse. Questi ultimi sono evidenziati da un fumetto al cui interno viene indicato il nome e, in alcuni casi, una fotografia. 
  
Pagina informazioni

La app è veloce e utile, peccato per alcune imperfezioni. 
Spesso le categorie proposte sono prive di contenuti, come nel caso delle “Informazioni” generali. Si apre una pagina vuota, senza una fotografia, una descrizione, un contatto, o una presentazione del progetto. Inoltre, poca attenzione viene posta per la categoria “Punti di interesse”, in cui si fornisce apparentemente all’utente la possibilità di cercare sul web ulteriori informazioni, proponendo come suggerimenti il canale Youtube, Google, Wikipedia e Flickr. L’unico problema è che risultano spesso senza contenuti. Piccoli dettagli, ma fondamentali. 

L’usabilità e la garanzia di una prestazione ottimale dovrebbero essere sempre garantite, anche se in termini generali consiglierei l’utilizzo dell’applicazione a chi volesse intraprendere questo tipo di esperienza. 

giovedì 24 luglio 2014

Il sito del Museo del patrimonio industriale: una guida multimediale tra le eccellenze manifatturiere di Bologna

Il Museo del patrimonio industriale di Bologna– una struttura unica nel suo genere almeno in Italia – ha sede in via della Beverara 123 e fa parte dell’Istituzione Bologna Musei. La struttura museale è situata all’interno dell’ex Fornace Galotti “Battiferro”, vicino al Canale del Navile, nella prima periferia nord della città. La Fornace, costruita nel 1887, è stata fino al 1966 – anno della sua chiusura – il più grande impianto per la produzione di laterizi dell’intera città, anche grazie alla presenza di un imponente forno Hoffmann a 16 camere che lavorava a ciclo continuo.
Gli spazi espositivi del Museo del patrimonio industriale – per un totale di circa 3mila metri quadri - sono dunque ospitati sia all’interno del forno Hoffmann, recuperato con criteri conservativi, sia negli ambienti sovrastanti una volta dedicati all’essiccazione del prodotto; nella palazzina adiacente al Museo sono invece presenti una sala per le esposizioni temporanee, la biblioteca e gli uffici.
Il Museo del patrimonio industriale studia, documenta e divulga la storia produttiva della città e del territorio circostante. Si tratta di un percorso articolato, che inizia nel XIV secolo con la “Città dell’acqua e della seta”, entra in crisi nel corso della prima rivoluzione industriale e riprende nel corso del XX secolo, con l’affermarsi dell’attuale distretto meccanico ed elettromeccanico. Le chiavi di lettura scelte dal Museo per interpretare questa storia sono le idee e la cultura dell’innovazione, attraverso le quali gli uomini, le imprese e le nuove tecnologie si sono affermate nel corso dei secoli.

logo del Museo
Il sito del Museo (http://www.comune.bologna.it/patrimonioindustriale/) compone un ulteriore importante tassello nella narrazione della storia del patrimonio industriale bolognese e del suo peculiare modello produttivo, dall’Età Moderna a quella Contemporanea.
Nella home page del sito sono presenti tutte le informazioni per l’accesso alla struttura, come orari e giorni di apertura, la mappa e una breve descrizione del Museo stesso.
Dalla home, attraverso un’apposita griglia si accede facilmente alle due sottosezioni riguardanti la “sede”  e la “storia” del Museo. La prima descrive velocemente la sede presso la quale è ospitato il Museo, cioè la Fornace Galotti "Battiferro", lungo il Canale Navile, la cui costruzione risale al 1887.
Nella seconda sottosezione – quella riferita alla storia del Museo – il visitatore viene informato che l’idea di costituire a Bologna un Museo dedicato alla civiltà industriale, nasce alla fine degli anni settanta dalla volontà del Comune di Bologna e dell’Istituto Aldini-Valeriani - la più antica scuola tecnica della città - di recuperare ed esporre le collezioni storiche dell’Istituto, “preziose testimonianze del complesso percorso di formazione delle maestranze locali, soprattutto nella meccanica e poi e nell'elettromeccanica”.

home page del sito
Sempre dalla apposita griglia nella home page – di facile e immediata consultazione - si accede a tutte le altre sezioni del sito. 
Di particolare interesse è la sezione “collezioni”, grazie alla quale è possibile prendere visione e informarsi rispetto alla gran parte dei macchinari esposti. Infatti, passando per delle specifiche sottosezioni, si giunge alla visualizzazione fotografica e alla descrizione di diverse tipologie di prodotti, materiali esposti e installazioni: si tratta di più di 1000 pezzi di natura e provenienza composita, divisi tra “Collezioni Storiche”, “Apparecchiature e prototipi industriali”, “Exhibit”.
Ovviamente, non tutti pezzi sono corredati di scheda grafica e descrizione – questo sarebbe francamente impossibile e soprattutto si perderebbe poi il senso stesso della visita al Museo – ma buona parte di essi, almeno i macchinari, i modelli e le ricostruzioni più importanti, sono ben visibili sul sito e accompagnati da dettagliate descrizioni storiche e spazio-temporali.
Altra sezione degna di nota è quella riferita agli “spazi espositivi”, nella quale è possibile prendere visione e informarsi – sempre grazie a supporti fotografici e descrittivi – rispetto alle mostre temporanee e permanenti ospitate dal Museo. Dalla sottosezione “permanenti” si può infatti accedere ai vari nuclei tematici del Museo del patrimonio industriale: dalla “Bologna dell’acqua e della seta”, a “La moderna città della cultura meccanica e elettromeccanica”, fino a quella intitolata “Bologna capitale del packaging”. Dalla sottosezione “temporanei” è invece possibile, non solo prendere visione delle mostre attualmente ospitate dal Museo, ma anche visualizzare l’archivio di tutte le esposizioni temporanee dal 2003 ad oggi. Naturalmente, anche in questo caso, non mancano abbondati gallerie fotografiche e descrizioni, sia di ogni singola mostra che di alcuni pezzi esposti.

alcune motociclette esposte all'interno del Museo

mercoledì 16 luglio 2014

Gli Iblei in rete. Un esempio di Public History

Nel marzo 2013, in occasione del convegno di studi svoltosi a Chiaramonte Gulfi (RG) all’indomani della produzione del documentario Terramatta; Il Novecento italiano di Vincenzo Rabito analfabeta siciliano (Nastro d’argento 2013), ha avuto inizio un progetto dal nome curioso, Archivio degli Iblei.


Logo del progetto "Archivio degli Iblei"

Nato da un’idea di Chiara Ottaviano, fondatrice di Cliomedia Officina, la prima società in Italia che ha per mission la Public History, il progetto si pone due obiettivi fondamentali. Innanzitutto quello di valorizzare il patrimonio storico-culturale di una comunità siciliana stanziata sul territorio compreso tra Ragusa e Siracusa, dove appunto si erge la catena dei Monti Iblei. Scopo dell’iniziativa promossa dal convegno era quello di raccogliere tutte le memorie, le ricerche, le testimonianze e i documenti relativi alla comunità siciliana per inserirla, e quindi renderla nota, in un più ampio contesto globale. Allo stesso tempo, un obiettivo importante che si pone il comitato promotore del progetto è quello di “divenire sia un punto di riferimento per chi opera nel territorio in ambito culturale (virtuale e non), sia creare un’occasione di visibilità, oltre i confini regionali e nazionali, anche per gli studi e le intelligenze espresse”, come sottolinea Chiara Ottaviano nell’articolo apparso sulla rivista digitale Storia e Futuro nel febbraio 2014.

Gli strumenti divulgativi e informatici di cui si è dotato inizialmente il progetto, con i quali ha iniziato la campagna di raccolta dei materiali, sono stati un sito internet dedicato e una pagina facebook creata appositamente. Il sito internet (www.archiviodegliiblei.it) è stato realizzato tramite il kit open source Museo&Web promosso dal MIBACT - Ministero per i Beni, le Attività Culturali e il Turismo - all’interno del progetto Minerva Europe. «E’ stato certamente un punto di forza quello di avere scelto un sistema open source collegato ad una realtà più ampia per la realizzazione del sito. Ci ha subito permesso di essere segnalati nazionalmente e internazionalmente», spiega Chiara Ottaviano nell’incontro organizzato con la redazione. La ricca Rassegna stampa presente nel sito e la segnalazione da parte dell'European History Primary Sources (EHPS) ne sono una conferma.
Il portale è suddiviso in quattro sezioni principali che permettono agli utenti di interrogare con facilità le fonti e i documenti sulla comunità iblea. Ciascuna sezione (Percorsi tematici, Testimoni e studiosi, Archivio immagini, Testi e ricerche) rappresenta una chiave di lettura ben precisa del territorio.
Nella sezione Testimoni e studiosi sono raccolte video-interviste a testimoni e ricercatori i quali, attraverso il racconto della propria esperienza personale e delle proprie ricerche, descrivono quei cambiamenti sociali e culturali, soprattutto degli anni Sessanta e Settanta, del Novecento vissuti anche dalla comunità iblea. Nell’Archivio immagini sono pubblicate numerose gallerie fotografiche, suddivise cronologicamente e tematicamente, ricche di preziose e rare immagini per lo più ricavate da archivi e collezioni private. Nella sezione Testi e ricerche si possono leggere memorie, studi e documenti su diversi argomenti scritti da studiosi e appassionati della cultura iblea. Infine, all’interno dei Percorsi tematici, si ritrovano i diversi contributi presenti nelle precedenti sezioni ma raggruppati per tematiche di interesse sociale e culturale (In campagna, Il mangiare, La scuola, …). Si tratta di un sito internet ben strutturato e accattivante, «i contenuti sono facilmente navigabili e interrogabili grazie ad un’interfaccia e ad una grafica piacevoli e semplici”, come sottolineato da Stefano Franzolin, tra i redattori del sito.

Sito internet del progetto 

Per quanto riguarda la pagina facebook dedicata al progetto (Archivio degli Iblei), questa è stata fin da subito utilizzata non solo per comunicare le iniziative proposte, ma anche e soprattutto come sistema di raccolta e promozione di materiali. «Facebook è stato utilizzato come strumento informale per contribuire al progetto. Non tiene nessuno fuori dalla porta e sollecita la partecipazione» (Chiara Ottaviano). «Quello della collaborazione è stato fin da subito un punto di forza del progetto. Una partecipazione non solo virtuale, ma che è riuscita a trovare un alto livello di adesione nella realtà, come si è visto in occasione del corso di aggiornamento sulle fonti orali e nelle manifestazioni collaterali» (Walter Tucci, senior di Cliomedia Officina).
Il progetto Archivio degli Iblei, che trova nel sito e nella pagina facebook degli ottimi strumenti di realizzazione e promozione, nasce come progetto che crede nella multimedialità, ma allo stesso tempo «non vive solo all’interno di internet e non coincide solo con il sito. Sono stati fatti grandi sforzi sul territorio per fare di questo progetto un punto di positiva attrazione per realtà ed energie presenti sul territorio ibleo che spesso non dialogano tra loro. L’idea di poter creare sinergie positive tra soggetti presenti sul territorio e la possibilità di collegarsi ad un network nazionale e internazionale è stato uno dei principi alla base del successo di partecipazione. Resta aperto il problema della sostenibilità economica» (Chiara Ottaviano). Secondo Andrea Nicita, il più giovane membro della redazione, «uno dei prossimi passi sarà quello di ampliare la partecipazione, soprattutto delle scuole».
Si può affermare con certezza che il progetto, e dunque anche il portale, dell’Archivio degli Iblei è un ottimo esempio di Public History: stimola alla ricerca scientifica attraverso un’operazione di comunicazione e divulgazione storica.

martedì 15 luglio 2014

Museo della Comunicazione Pelagalli “Mille voci…Mille suoni”

Per chi abbia voglia di visitare un luogo particolare a Bologna, in via Col di Lana, al civico 7/N, c’è il Museo della Comunicazione “Pelagalli” dichiarato nel 2007 patrimonio UNESCO della Cultura.

Insegna del Museo

Si tratta di un museo privato, nato dalla passione del suo fondatore, Giovanni Pelagalli, per tutto ciò che fosse meccanico, che creasse come dal nulla l’illusione di suoni e voci. Il Museo si propone l’obiettivo di diffondere la conoscenza delle principali invenzioni tecniche e scientifiche che hanno caratterizzato gli ultimi due secoli della nostra storia. Particolare attenzione è riservata a Bologna nelle sezioni dedicate a Marconi, che è una specie di nume tutelare dell’istituzione stessa, e ai fratelli Adriano, Marcello e Bruno Ducati fondatori dell’impresa omonima che dal 1924 identifica Bologna nel campo dei motori.
Il portale del Museo, in italiano e in inglese, ci conduce all’interno del percorso espositivo dove siamo accolti da un centinaio di fotografie in rapida successione  e da un messaggio audio di presentazione. Questa scelta introduttiva è sicuramente scenografica ma poco funzionale al catturare l’attenzione dell’internauta il cui occhio è continuamente distratto dal rapido scorrere delle immagini che avrebbero avuto una maggior efficacia comunicativa se raccolte in una gallery dedicata.

I 2000 pezzi raccolti sono suddivisi in otto sale-contenitori che raccontano la storia di ogni tipologia di mezzo comunicativo e l’importanza che essa ha avuto nella storia degli ultimi secoli e, in particolare, la ricaduta sul secolo appena trascorso.
Si comincia con la sala dedicata alla storia della radio. Questo settore espositivo racconta la storia del primo strumento di comunicazione e, probabilmente, di quello più diffuso almeno in Italia dove la televisione entrerà in funzione solo nel 1954, a partire addirittura dalle origini. Durante le visite guidate gli strumenti d’epoca vengono utilizzati per esperimenti scientifici  che fanno capire ai visitatori come funziona la radio, capostipite dei più moderni mezzi di radiocomunicazione. Da questi mezzi, concepiti principalmente per usi militari si passa alla storia della radio domestica che tanta parte ha avuto nella vita delle famiglie italiane fino a tempi ancora recenti.
Dalla sala della radio si passa a quella dedicata alla fonografia che, nata nel 1877, precede di pochi anni l’invenzione del cinema. La visita a questa sala, come a quelle seguenti avviene grazie ad un video in cui, attraverso la sagoma di un vecchio televisore, si susseguono immagini che illustrano quanto contenuto nella sala.
Lo stesso procedimento comunicativo viene utilizzato per le sale seguenti dedicate alle macchine musicali e meccaniche del XVIII e XIX secolo, alla storia del cinema e a quella della canzone, raccontata principalmente attraverso le incisioni su vinile, nei mitici formati 78 – 45 – 33 giri.
Dalla storia del cinema si passa alla storia del telefono: nella sala dedicata si possono ammirare esemplari che vanno dal telefono di Meucci del 1871 fino ad un primissimo esemplare di telefono veicolare, passando per esemplari di modernariato che, probabilmente, sono stati presenti in casa di tanti.
Telefono veicolare

Telefono di Meucci, 1871
  
La sala dedicata alla televisione racconta una storia che parte dalla lampada di Raytheon per la “Radiovisione” meccanica del 1928 fino agli apparecchi per la trasmissione in bianco e nero e poi a colori, ad “imitazione” de cinema.
Infine la sala dedicata alla storia del computer che si apre con il regolo calcolatore progettato nel 1850 da Quintino Sella per arrivare ai primi pc, realizzati attraverso un percorso, ancora attuale, di miniaturizzazione delle dimensioni che ha reso questo tipo di tecnologia accessibile a tutti.

La storia che il Museo della Comunicazione ci propone è una storia che ci riguarda perché racconta il bisogno umano di comunicare e l’ingegno di chi ha raccolto, in qualche modo, questo bisogno ed ha attivato le proprie risorse intellettuali per dargli forma, sostanza e, soprattutto veicolo.
Se l’intento è sicuramente meritorio, qualche criticità è rilevabile nella struttura del sito che, come già rilevato a proposito della home page, anche nella sezione dedicata ai riconoscimenti ed ai visitatori illustri propone un affastellamento di immagini e articoli di giornale di decifrazione non immediata perché si collocano, comunque, a latere della mission dichiarata del Museo.

sabato 12 luglio 2014

E – REVIEW: gli Istituti Storici dell’Emilia-Romagna in rete


“E-Review” è la rivista on line degli Istituti Storici dell’Emilia-Romagna in rete. Si tratta di un progetto, patrocinato dalla Regione Emilia-Romagna, la cui finalità è decisamente innovativa: trasmettere sapere storico contemporaneo attraverso uno strumento mediaticamente efficace come il web. Se poi, come si legge nella sezione “Chi siamo”, questo progetto si pone “l’obiettivo di aprire un canale di comunicazione storiografica che superi i confini accademici e favorisca la costruzione di un dialogo con la società”, l’intento diventa anche meritorio, utile e, visti i tempi, più che mai necessario.All’indirizzo http://e-review.it dunque è possibile visualizzare contenuti sia multimediali che testuali. L’utenza di riferimento non è solo locale, ma anche nazionale e internazionale. E’ uno spazio virtuale da cui possono attingere sia gli specialisti che i semplici appassionati di storia.Lo spazio temporale considerato è quello della storia contemporanea in generale, ma gli argomenti privilegiati riguardano nello specifico la Seconda Guerra mondiale, le trasformazioni degli anni Sessanta e il passaggio tra il XX e il XXI secolo.Il punto di vista, nonchè le vicende storiche analizzate e proposte, sono prevalentemente riconducibili al territorio emiliano-romagnolo, ma la valenza dei fatti qui riportati e l’interpretazione complessiva è caratterizzata da una visione globale. Inoltre, l’interdisciplinarietà delle tematiche affrontate arricchisce il sito di argomenti di interesse generale che attraversano ambiti vari e differenti: geografia, antropologia, scienza delle comunicazioni, ma anche arte, letteratura, etc.Un esempio concreto: nella sezione “#patrimonio” (non casuale il richiamo al “twitteriano” hashtag) viene proposto un articolo di presentazione del progetto dell’Istoreco (Istituto per la Storia della Resistenza e della Società contemporanea in provincia di Reggio Emilia) A.R.S. - Art Resistance Shoah, in merito alla memoria storica considerando le arti visive che commemorano la Resistenza e la Shoa. Nell’articolo di conseguenza vengono riportate immagini artistiche per agevolarne la comprensione e per rimanere nella dimensione della multimedialità.


Questo pezzo, così come gli altri pubblicati da questa rivista, è corredato di una scheda laterale che sintetizza i riferimenti principali dell’elaborato (è segnalata anche la dicitura corretta che si deve utilizzare per citarlo); mentre sotto il titolo – e prima dell’inizio dell’articolo – si trova un “abstract” (che con poche parole, sia in italiano che in inglese, rende l’idea del contenuto trattato) e l’indice dei paragrafi.



Tutti gli articoli hanno una valenza scientifica e le caratteristiche innovative dello strumento utilizzato non compromettono affatto il rigore storiografico attraverso i quali vengono proposte le ricerche e gli argomenti.
Senza dubbio interessante la rubrica “#corrispondenze”, in cui si segnalano iniziative culturali che riguardano la storia contemporanea e che si svolgono sul territorio regionale.
La rivista è presente con una pagina su facebook e con un profilo anche su twitter. Purtroppo gli utenti che seguono la rivista su questi due social network sembrano essere pochi (in base al numero di “mi piace” e di follower). Se l’aggiornamento fosse più frequente e si susseguissero più o meno quotidianamente anche brevi commenti e/o considerazioni (anche su specifiche tematiche), supportate da video o immagini – in modo da offrire l’idea di una maggiore dinamicità – sicuramente questo interessante e innovativo progetto avrebbe un riscontro positivo molto più ampio.  

Il progetto internazionale “Laura Bassi e le carte di famiglia”


L’idea della digitalizzazione e successiva messa in rete del fondo Bassi Veratti è nata nel 2010 grazie ad un’idea vincente di John W. Haeger, sinologo, ex presidente del Research Library Group 

Immagine di Laura Bassi

e collaboratore di Stanford University Libraries, istituzione che vanta una collaborazione pluriennale con la Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio e con l’Istituto per i beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia Romagna. Nel corso di un viaggio a Bologna ed una visita all’Archiginnasio, Haeger mise in relazione, in un’ambiziosa visione di insieme, gli studi su Laura Bassi e le scienziate europee condotti da Paula Findlen, docente dell’Università di Stanford, con i progetti più recenti di digitalizzazione di documenti realizzati dalla stessa Università ed il fondo speciale Bassi – Veratti  conservato in Archiginnasio.
L’idea di proporre agli studiosi uno strumento accessibile da ogni parte del mondo e di facile consultazione fu accolta con grande entusiasmo e creò un’efficace sinergia tra l’Archiginnasio, detentore dell’archivio, che mise a disposizione l’inventario e le numerose competenze dei propri studiosi in materia di contenuti storici e organizzazione degli archivi, tra i bibliotecari di Stanford e gli esperti in digitalizzazione che hanno trasformato l’inventario in uno strumento di ricerca digitale corredato di una interfaccia bilingue, e l’IBC Soprintendenza per i beni librari della Regione Emilia Romagna, che ha supportato la ricerca mettendo a disposizione l’esperienza maturata nella collaborazione a diversi progetti internazionali.
Come spesso accade nei progetti pilota la collaborazione è stata limitata a questi soggetti non per creare un’ esclusiva ma per testare l’efficacia scientifica di uno strumento per la ricerca attraverso documenti depositati non in una sola sede ma presso sedi diverse, che permettesse il fiorire di studi dedicati a Laura Bassi nello specifico ma allargati alle donne scienziate in genere, nell’ambito della tradizione dell’Università di Stanford negli studi di storia della scienza.
Ne è risultato il sito web dedicato pensato e sviluppato utilizzando le tecnologie open source, applicate dagli ingegneri di Stanford a tutte la soluzioni di ricerca e di accesso.
La digitalizzazione  dei documenti dell’archivio è stata una vera e propria sfida, anche se, come dato di partenza, poteva avvalersi del minuzioso lavoro di inventariazione già compiuto dagli archivisti dell’Archiginnasio; alla fine il risultato è stato una piattaforma web per la ricerca dei documenti archivistici e delle informazioni correlate. La navigazione nel sito permette di effettuare ricerche a più livelli, dalla consultazione di una mappa interattiva che riporta i documenti associati ai diversi luoghi, alla ricerca più complessa che permette a specialisti e studiosi di diversa formazione di incrociare i dati per ricavare prospettive di studio e di ricerca sempre diverse; il portale, inoltre, offre la possibilità di non perdersi nel mare magnum dei documenti che costitutiscono il fondo ma di orientarsi attraverso una serie di link mirati, ciascuno relativo ad una precisa tipologia di documenti.
A questo punto ci si potrebbe interrogare sulle ragioni di tanto interesse per Laura Bassi e su che cosa rappresenti questa figura di scienziata nel panorama storico non solo della Bologna settecentesca ma dell’Europa del XVIII secolo.

Laura Bassi é personaggio di grande interesse non solo perché si configura come fulcro di una rete informale di studiosi  che hanno legami ed interessi comuni e con Bologna, persone le cui competenze diversificate contribuiscono ad allargare lo sguardo sulla conoscenza della storia della scienza europea ma anche per quello che racconta a studiose e studiosi nell’ambito della storia di genere, per almeno tre motivi fondamentali.
Il primo: nata nel 1711, mentre in Europa soffiavano tempestosi i venti della guerra di successione spagnola, Laura Maria Caterina Bassi fu sostenuta da una famiglia benestante quanto lungimirante che non le impedì l’istruzione, fu la prima donna a laurearsi nell’Università di Bologna nel 1732 e la prima docente di Fisica in Europa.

L'Archiginnasio bolognese

La Bologna di quel tempo, che dialogava alla pari con i centri europei più avanzati negli studi scientifici aveva trovato la propria icona e la giovane scienziata, di cui lo stesso cardinale fu un estimatore ed un sostenitore, diventò il vanto cittadino da ostentare.
Il secondo: nel 1738 venne celebrato il matrimonio di Laura con Giuseppe Veratti, medico ed esperto di fisica, suo collega in Accademia e nell’Università. Fin qui nulla di strano ma non dobbiamo dimenticare che durante l’età moderna e non solo il matrimonio segnava una cesura forte nella vita di una donna, era l’evento che rappresentava il raggiungimento del fine naturale dell’esistenza femminile che, da quel momento in poi, per quanto potesse essere stata ricca e appagante in precedenza, cedeva il passo alla domesticità, alla maternità, ad una dimensione del tutto privata nella quale non c’era più spazio per talenti o aspirazioni.
Per Laura le cose andarono diversamente: il marito non la ostacolò nella professione e nemmeno la nascita di otto figli la privò della possibilità di continuare a ricoprire un ruolo pubblico.
Terzo motivo: non solo Laura proseguì nella carriera scientifica, nonostante fosse moglie e madre, ma poté contare sulla collaborazione costante del marito che le fu assistente e che solo dopo la morte della moglie, nel 1778, le subentrò nell’insegnamento della fisica sperimentale all’Istituto delle Scienze.
Queste osservazioni ci restituiscono in Laura Bassi una figura di donna davvero interessante, un personaggio moderno, stimolante per la ricerca, ricco di sfaccettature che suggeriscono approcci di studio e suggestioni differenti e complementari. 
Chissà se a Laura Bassi sarebbe piaciuta l’idea di un sito web dedicato alla raccolta delle carte della sua famiglia. Molto probabilmente sì perché si tratta di uno strumento che, nella contemporaneità, rinnova e amplia lo spirito e semplifica la pratica della circolazione di informazioni, cuore pulsante della comunità scientifica del XVIII secolo di cui Laura Bassi fu una luminosa protagonista.