giovedì 14 giugno 2018

JAN PALACH E IL SESSANTOTTO “SEQUESTRATO”


JAN PALACH E IL SESSANTOTTO “SEQUESTRATO”

"Un suicida in certi casi non scende all'Inferno e non sempre Dio è dispiaciuto quando un uomo si toglie il suo bene supremo, la vita" scrisse un teologo cattolico pochi giorni dopo che il ventunenne Jan Palach, studente di filosofia, si era cosparso di benzina e dato fuoco in piazza San Venceslao a Praga, in un gelido 16 gennaio 1969. Jan non era cattolico: era di fede evangelica come suo padre, socialista. Ma quando accese il fiammifero dovette pensare, più che alla vita o a un dio, alla sua Praga invasa dai sovietici dall’agosto dell’anno prima. “Dato che la nostra nazione si trova in bilico tra disperazione e rassegnazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e risvegliare così la coscienza nazionale” scrisse nella lettera che lasciò alla sua morte, firmandosi “torcia n. 1”, di lì a poco imitato da altri giovani come lui. Credeva in Dubcek e nella sua Primavera socialista dal volto umano: ma il mondo degli adulti restituì alla sua generazione teste chine, il grigio dei carri armati del Patto di Varsavia e del volto di Husàk, emblema della cortina di ferro ripiombata sui confini del suo Paese.
Fin qui Jan Palach. Ma il Sessantotto che c’entra? A Praga si manifestava per una libertà concreta e necessaria come l’aria che si respirava; a Londra, Roma e Parigi si protestava contro la “confortevole, levigata, democratica non libertà dei paesi industriali avanzati” per dirla con Marcuse.
Eppure fu Sessantotto anche quello praghese, anzi: altri ce ne furono ad Est. Piccole torce che si spensero nel buio dell’impotenza e dell’indifferenza. Impotenza di una politica internazionale schiacciata tra Nato e Patto di Varsavia; indifferenza dei rampolli delle élites nelle università occidentali che, protetti da quella “levigata” e detestata non libertà, inneggiavano a Mao o a Che Guevara a una manciata di chilometri dai confini orientali.
Fu, quello dell’Est, un sessantotto “sequestrato”, secondo Guido Krainz, udinese, professore di storia contemporanea a Teramo, autore del recente Il Sessantotto sequestrato: Cecoslovacchia, Polonia, Jugoslavia e dintorni. Rifiutandosi di guardare per l’ennesima volta, come altri suoi colleghi, nel proprio ombelico europeo occidentale, Krainz registra con dovizia di dati l’isolamento in cui i movimenti studenteschi e i partiti comunisti dell’Ovest lasciarono gli studenti che avevano sfidato i carri armati a Praga, e quelli che in quegli stessi mesi avevano preteso libertà e diritti a Belgrado e a Varsavia ottenendone solo arresti e terrore. Tra le poche eccezioni a Sinistra, il Manifesto, che in quei giorni titolò la verità: “Praga è sola”.
“Questi giovani erano come noi, e noi non lo capivamo - scrive Anna Bravo in un saggio del volume – e se la differenza è comprensibile e naturale in contesti diversi, si fa dramma quando diviene separazione, incomprensione, insensibilità al dolore degli altri”.
Insensibili o almeno distratti. Tra i sessantottini italiani, Mario Martucci ravvisò in Palach «un aspetto di fanatismo religioso» e di «spirito settario». Enzo Biassoni, allora capo del Movimento studentesco monzese, lo bollò come «eterodiretto» senz’altro specificare. Quanto a un altro del gruppo, Gabriele Nissim, giudicò quel gesto «rinunciatario». I più rozzi lo liquidarono come un caso di «provocazione fascista». Quelli della rivista «Nuovo impegno» conclusero sbrigativamente: «il fatto principale della mobilitazione generato da Palach non ha contenuti socialisti».
Nel 2009 un gruppetto di loro, Mario Capanna in testa, partì per Praga: “Noi che quarant’anni fa eravamo impegnati a Milano nel Movimento studentesco, potevamo fare di più…” esordirono in un comunicato redatto per l’occasione. Per far sapere al mondo che finalmente si ricordavano di Jan Palach, il sessantottino che per una vera libertà si privò della vita.


FONTI

1)      Guido Krainz, Il Sessantotto sequestrato: Cecoslovacchia, Polonia, Jugoslavia e dintorni, Donzelli, Roma 2018.
2)      Dario Fertilio, “Missione a Praga: il ’68 fa autocritica su Jan Palach”, Corriere della Sera, 10 gennaio 2009.
3)      Sergio Failla, mercoledì 7 marzo 2018, http://www.girodivite.it/Praga-e-sola-Noi-che-non-capiamo-l.html,
4)      http://www.janpalach.cz/it/default/indexovnik

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