sabato 30 giugno 2018

Il calcio dei ginnasti


 Chi si è occupato di storia dello sport in Italia negli ultimi due decenni ha ampliato la prospettiva di studio sulle origini del calcio, ponendo l’accento sulla diffusione del gioco in regioni prima ignorate. Alla fine dell’Ottocento, negli stessi anni in cui il meraviglioso giuoco appariva nelle città del triangolo industriale, dai paesi mitteleuropei il calcio era arrivato anche nel Nord-est.

 Dietro la diffusione  “orientale” del calcio c’era il movimento ginnastico italiano, che aveva fame di rinnovamento, e guardava al modello anglosassone di educazione sportiva basato sui giochi all’aperto, tra i quali appunto il calcio. Questi giochi vengono introdotti nell’insegnamento dell’educazione fisica nel 1893 accanto ai tradizionali esercizi ginnici. Protagonista della riforma è il senatore Gabriele Pecile, che era stato sindaco di Udine, dove nel 1892 si era creata la prima “palestra aperta” in Italia, il primo campo di giuochi. È lo stesso senatore Pecile a tradurre i manuali di gioco dal tedesco e dall’inglese e a pubblicare nel 1895 il giuoco del calcio (football)-regole adottate nel campo dei giuochi di Udine. Nello stesso anno esce un altro manuale ad opera di Francesco Gabrielli, un maestro bolognese di educazione fisica che insegna a Rovigo. Sono i primi manuali calcistici in lingua italiana. Una volta pubblicati, i manuali iniziano a circolare e in molte parti d’Italia le associazioni ginnastiche si aprono al nuovo gioco, assumendo un ruolo fondamentale nella nascita e nella promozione del football. Intanto la Federazione Ginnastica Italiana (FGNI) organizza i grandi concorsi nazionali ginnastici. Tra un concorso e l’altro, si disputano i campionati interregionali e interprovinciali. Nel concorso interprovinciale ginnastico di Treviso viene indetto il primo torneo di football: vincono proprio i ginnasti di Udine davanti alla squadra della Palestra Ginnastica Ferrara e ad un’altra composta da liceali trevigiani. Siamo nel settembre del 1896. La Ginnastica Udinese vince questo titolo due anni prima di quello messo in palio dalla FIF, vinto dal Genoa, l’8 maggio a Torino: quello che viene da sempre considerato come il primo campionato di calcio. Il titolo udinese testimonia il radicamento e lo sviluppo che conosce il calcio nella città friulana e dimostra che la pratica del calcio in origine non per forza va a braccetto con l’evoluzione della società industriale: alla fine dell’Ottocento Udine infatti è ancora distante dall’essere una città moderna e industriale.

 In che modo il calcio dei ginnasti era diverso  da quello patrocinato dalla FIF (che di lì a poco prenderà il nome che tutti conosciamo, FIGC)? Per i primi anni si registra un po’ di confusione, per via di traduzioni approssimative dei codici che venivano dall’estero. Un regolamento definitivo il calcio ginnastico se lo dà grazie a Luigi Bosisio, che il 16 gennaio del 1903 pubblica su La Gazzetta dello Sport il nuovo regolamento del calcio. Un aspetto importante riguarda l’arbitro: rispetto al Codice Gabrielli Bosisio dà più centralità al giudice di gara, le cui decisioni sono inappellabili. Tutto sommato la differenza vera riguardava la durata della partita: i ginnasti giocavano due tempi da trenta minuti mentre i footballer due da quarantacinque minuti. Differenze concrete di gioco non c’erano con il calcio dei club affiliati alla FIF, ma diverso era l’approccio con il quale ci si metteva a giocare. Ai ginnasti più del risultato interessava come si eseguiva il gesto tecnico; e infatti i tornei calcistici che si svolgevano durante i Concorsi erano divisi in due tipi di partite: di classificazione e di campionato. Nelle gare di classificazione i ginnasti-calciatori erano chiamati a mostrare le loro abilità ed erano valutati dalla giuria per come eseguivano il gesto tecnico. La giuria valutava anche il comportamento e il contegno che i ginnasti avevano nei confronti di compagni, avversari e degli stessi giurati. Ai ginnasti era dunque richiesto il rispetto del codice etico e non solo di quello che riguardava il gioco.   

In questo quadro va collocato il titolo del 1896 di cui l’Udinese rivendica l’assegnazione, che nel caso venisse riconosciuto, diventerebbe il primo scudetto  della storia del calcio italiano.

Bibliografia

Antonio Papa, Guido Panico, Storia sociale del calcio in Italia, Bologna, Il Mulino, 2002
Stefano Pivato, Il football: un fenomeno di frontiera. Il caso del Friuli Venezia Giulia, in Italia Contemporanea, 1991/183
Marco Impiglia, Il calcio dei ginnasti, in Memoria e ricerca, 27/2008
Sergio Giuntini, I calciatori delle palestre, Bradipo Libri, 2011


mercoledì 27 giugno 2018

Casa di Colón - Un pretesto di valorizzazione storica

Casa de Colón

Il quartiere di Vegueta, a Las Palmas de Gran Canaria, è un luogo caratteristico e, a suo modo, pieno di storia. Corrispondente al nucleo originario fondato nel 1478 dal conquistatore Juan Rejón con il nome di Real de Las Palmas, il quartiere si distingue per le tipiche abitazioni in stile canario: generalmente su tre piani, con uno o più patii interni e caratteristici balconi di legno coperti. Tra queste, a pochi passi dall'imponente Cattedrale di Sant'Anna, una spicca tra tutte per la sua storia. Si tratta della Casa del Gobernador, famosa per aver ospitato Cristoforo Colombo durante le sue soste lungo il viaggio per il Nuovo Mondo. È per questo che oggi il suddetto palazzo appartiene al complesso architettonico che prende il nome di Casa de Colón. Il passaggio di Colombo dall'Arcipelago delle Isole Canarie non fu un evento casuale; l’Arcipelago, infatti, è situato in una posizione che agevola la navigazione verso l’occidente grazie ai venti alisei e alle correnti marine. È proprio per questo che, a partire dal 1500, queste isole divennero un punto di sosta strategico per tutte le navi che facevano rotta verso le Americhe, dando vita ad un fiorente scambio di tipo sociale, culturale ed economico. Tuttavia le isole dell'arcipelago canario non rappresentano, nel corso dei secoli, solo un semplice luogo di passaggio nella Carrera de Indias, ma costituiscono anche il punto di partenza di molti flussi migratori che hanno fatto guadagnare alle Isole Canarie il soprannome di Hacedor de Pueblos, Creatrici di Popoli. Nel 1940, durante il mandato del Presidente Matìas Vega Guerra, il Cabildo de Gran Canaria decise di ristrutturare il palazzo, avvalendosi dei servigi dell’architetto Secundino de Zuazo Ugalde, per destinarlo ad un museo che è ancora oggi noto con il nome di Casa museo di Cristoforo Colombo.

Il Museo, inaugurato nel 1951 e poi successivamente ampliato in varie tappe negli anni seguenti, nasce con il duplice intento di ricordare sia il vincolo dell’isola con le gesta colombiane, che il divenire storico e culturale di tutti i “paesi fratelli d’America”.  È formato in totale da tredici sale divise su tre piani, organizzate tuttavia in un percorso non del tutto chiaro che tende a confondere il visitatore più distratto. All'ingresso viene effettuato un censimento statistico sulla nazionalità degli avventori, poi si ha accesso alla prima sala, che riproduce l'interno di una delle caravelle di Colombo, per la precisione quella che riparò durante il suo primo viaggio nel 1942, la Nina. 
La Nina
 Sempre all'interno di questa prima sala è possibile ripercorrere questo e gli altri viaggi del navigatore genovese attraverso dettagliate carte geografiche fino a giungere nella sala in cui si affronta quello che sembra essere il vero tema del museo: la posizione strategica dell'arcipelago come crocevia di popoli e culture. Si tratta di sale in cui è possibile consultare le carte dei viaggi verso il continente americano a partire dal 1500 ca.; centro di sosta nevralgico per tutte le navi da e per le Americhe, le Isole Canarie conservano, infatti, anche numerosi reperti dei “Paesi fratelli d'America” esposte nella cripta sotterranea, raggiungibile dopo aver attraversato la sala delle pitture rinascimentali e fiamminghe. La presenza di queste opere d'arte all'interno del museo intende essere testimonianza di quella spinta propulsiva che, grazie al Rinascimento italiano e alla lungimiranza dei sovrani spagnoli, ha dato luogo ai viaggi verso il Nuovo Mondo. Al di là del contenuto strettamente espositivo, discutibile su più di un aspetto, questo museo rappresenta un ottimo spunto di riflessione su come un singolo evento possa diventare il pretesto per valorizzare un intero patrimonio storico, in questo caso legato al territorio. 
Isola di Gran Canaria
Il percorso museale, infatti, sembra essere lo specchio dell'orgoglio che il popolo canario nutre nei confronti della cultura e del territorio dell'Isola; sarà per questo che le sale dedicate alle riproduzioni dell'isola di Gran Canaria e della città di Las palmas sono sicuramente quelle più curate e meglio riuscite. Molto più interessante l'aspetto storico/architettonico: il museo, infatti, ha sede in una delle case più tipiche ed antiche della città, di solito adibite ad abitazioni private.
Interno Casa de Colón

Sebbene non si tratti di certo di uno dei migliori esempi di comunicazione storica a nostra disposizione e nonostante la mancanza di un filo conduttore che conferisca una certa uniformtà, visitare la Casa de Colón è un'esperienza che permette di entrare a contatto con la storia dell'isola, dei popoli che l'hanno abitata o che sono passati di lì e, più in generale, con lo spirito di chi la abita ancora oggi. 







Bibliografia e sitografia:

1. P. Chaunu, L'America e Le Americhe. Storia di un continente. Edizioni Dedalo, Bari, 1993.
2. http://www.casadecolon.com/
3. http://www.laspalmasgc.es/es/

martedì 26 giugno 2018

Able Archer 83 e War Scare sovietica: la guerra fredda nel 1983






 Nel febbraio 1986 Mikhail Gorbachev disse che nei decenni postbellici la situazione non era forse mai stata più esplosiva come agli inizi degli anni ‘80.  In effetti l’invasione sovietica dell’Afghanistan alla fine del 1979 aveva interrotto un periodo di distensione e negli anni successivi la presidenza di Ronald Reagan deteriorò ancora di più i rapporti tra le due superpotenze . L’anno di maggior tensione fu il 1983 nel quale si verificarono vari episodi e incidenti diplomatici. Per esempio ai tenne a Orlando, il famoso discorso nel quale Reagan definì l’Unione Sovietica impero del male; un paio di settimane più tardi annunciò quello che in Italia è conosciuto come scudo spaziale, un sistema di difesa antimissilistica che doveva far uso di tecnologie quasi fantascientifiche, motivo per cui fu anche chiamato “Star wars”. L’1 settembre ci fu un altro grave episodio, questa volta causato dall’URSS: un aereo di linea coreano, il volo KAL-700, stava compiendo la tratta New-York Seoul quando, per circostanze mai del tutto chiarite, invase lo spazio aereo sovietico e fu abbattuto dalla difesa URSS. L’abbattimento causò la morte di oltre 260 persone.
Tutti questi fatti ebbero grande risonanza mediatica e sono spesso ricordati anche oggi. Ma nell’83 avvennero fatti poco noti ai più, che probabilmente aumentarono quella che che viene definita come War Scare sovietica (cioè la paura da parte dell’URSS che gli USA potessero scatenare una guerra nucleare): in particolare si tratta di una serie di esercitazioni NATO poste sotto l’ombrello di un’operazione detta Autumn Forge 83. La più controversa di queste esercitazioni fu  Able Archer 83 che, secondo l’ex agente KGB Oleg Gordievskij, che all’epoca dei fatti faceva il doppio gioco in favore dei servizi segreti inglesi, fu sul punto di scatenare una guerra nucleare. Ma cosa fu Able Archer 83? E soprattutto quanto c’è di vero in quanto afferma Gordievskij?

Able Archer 83: cos'è

Da alcuni documenti prodotti dalla NATO nel 2013, su richiesta di ricercatori, per riassumere l’esercitazione, sappiamo che  Able Archer 83 serviva a simulare la transizione da una guerra con armi convenzionali a una con armi non convenzionali; tra gli obiettivi c’era quello di testare le nuove procedure di lancio di missili nucleari. Able Archer non coinvolse truppe ma solo i vari quartier generali della NATO. L’esercitazione effettiva si svolse tra il 7 e l’11 novembre, ma per contestualizzare l’operazione fu ideato uno scenario che simulava un’escalation tra i paesi del patto di Varsavia (indicati come arancioni) e la NATO (indicata come blu), che partiva dal mese di febbraio per arrivare allo scoppio della guerra il 4 novembre con l’invasione della Norvegia da parte degli arancioni. Nella simulazione, nei giorni successivi gli arancioni decidono di usare armi chimiche e l’8, i blu prendono la decisione di usare testate nucleari su un limitato numero di obiettivi prefissati. L’autorizzazione arriva e i primi lanci avvengono il giorno dopo, ma gli arancioni non si fermano, così i blu decidono di continuare i lanci che vengono stabiliti per il mattino presto dell’11, ultimo giorno dell’esercitazione. In realtà né Autumn ForgeAble Archer, che ne era la coda finale, erano novità: la NATO faceva queste esercitazioni ogni anno e i sovietici ne erano perfettamente al corrente. Eppure c’è chi dice che nel 1983 l’Unione Sovietica fosse convinta che gli alleati stessero realmente per effettuare un attacco nucleare, primo fra tutti il già ricordato Gordievskij.
Nella monografia A Cold War Conundrum: The 1983 Soviet War Scare, dello storico della CIA Benjamin Fischer, è presente un breve capitolo dedicato ad Able Archer nel quale viene riportata la versione di Gordievskij. Secondo l’ex spia sovietica l’8 o il 9 novembre gli agenti del KGB in missione a ovest ricevettero un dispaccio in cui venivano informati che alcune basi NATO avevano mobilitato le truppe. Tra le ipotesi di queste mobilitazioni c’era anche la possibilità di un attacco nucleare. Gordievskij non è l’unico a sostenere la pericolosità di Able Archer: nel 1989 il generale Leonard H. Perroots, direttore della DIA (Difence intelligence Agency), inviò una lettera al direttore della CIA e al PFIAB (President's Foreign Intelligence Advisory Board) in cui esprimeva la sua inquietudine circa la poca attenzione prestata alla War Scare sovietica durante Able Archer 83.  Tuttavia secondo altre ricostruzioni, anch’esse riportate da Fischer, Able Archer fu perlopiù ignorata e non arrivò mai all’attenzione del Politburo o degli alti livelli del ministero della difesa. Inoltre Serghei Akhromeyev, altissimo funzionario militare sovietico, sostenne in un’intervista di non ricordare Able Archer anche se ammise che l’operazione Autumn Forge 83 nel complesso avesse suscitato qualche perplessità.

Able Archer 83: cosa sappiamo oggi

Negli ultimi anni sono stati declassificati numerosi documenti che aiutano a far luce su Able Archer e sulla War Scare sovietica. Particolare attenzione merita un documento del PFIAB risalente al 1990, dal significativo titolo The Soviet “War Scare”. A proposito di Able Archer il documento cita il dispaccio mandato agli agenti del KGB di cui parlava Gordievskij e altri messaggi simili inviati ad altri organi di intelligence; inoltre rileva come le forze mobilitate dal Patto di Varsavia nei giorni dell’esercitazione fossero più ingenti del solito e che alcune delle attività svolte si erano viste solo nei momenti di crisi. Questi e altri fattori suggeriscono agli analisti del PFIAB che i leader militari sovietici fossero seriamente preoccupati che gli USA intendessero utilizzare Able Archer come copertura per un vero attacco. Di fatto però non ci sono certezze circa le reali intenzioni dei sovietici.
Dalle ricerche fatte da Fischer, da altri storici e dai documenti disponibili sembra molto improbabile, per non dire impossibile, che durante Able Archer 83 il mondo sia stato realmente sull’orlo di una guerra nucleare, ma allo stesso tempo non si può escludere che un certo grado di allerta da parte dei sovietici ci fosse e che quindi avessero agito in modo da essere pronti a un’eventuale rappresaglia, stando però attenti a non provocare l’attacco temuto. Una situazione che, citando il documento del PFIAB, avrebbe potuto diventare “estremamente pericolosa se, durante l’esercitazione - magari per inopportune coincidenze o errori di intelligence - i sovietici avessero malinterpretato le azioni degli USA come la preparazione di un vero attacco.”

Fonti:

- B. Fischer, A Cold War Conundrum: The 1983 Soviet War Scare 
- Il sourcebook Able Archer 83 che contiene articoli e link ai numerosi documenti declassificati su Able Archer e la soviet War Scare
- The 1983 War Scare: "The Last Paroxysm" of the Cold War Part I
- The 1983 War Scare: "The Last Paroxysm" of the Cold War Part II 
- The 1983 War Scare: "The Last Paroxysm" of the Cold War Part III
- The 1983 War Scare Declassified and For Real
- N. Jones, British Documents Confirm UK Alerted US to Danger of Able Archer 83 
- N. Jones, General Leonard H. Perroots who Deescalated Risk of Nuclear War During Able Archer 83 Has Died; DIA Cannot Find His Letter Warning of Danger

lunedì 25 giugno 2018


 O Doutor da bola
Sòcrates e a la democrazia Corinthiana


Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira conosciuto come Sòcrates è stato un medico, un calciatore, un marxista, ma soprattutto un uomo dal libero pensiero; chiamato così dal padre appassionato dei classici greci, dopo aver letto La Repubblica di Platone, Sòcrates, nato nel 1954, cresce in un Brasile stretto nella morsa di un brutale dittatura militare, salita al potere con un colpo di stato appoggiato dagli Stati Uniti nel 1964. Come altre dittature sudamericane il regime impose una stretta fortissima alle libertà civili e individuali, inaugurando la triste stagione dei desaparecidos in anticipo sui regimi cileno e argentino degli anni ’70.
Il padre riesce a trasmettergli l’idea della cultura come arma da usare contro la subalternità. Chi sa può difendersi, il potere può levarti i diritti e la libertà ma non la coscienza critica, con questo insegnamento scolpito nella coscienza intraprende gli studi di medicina e si avvicina al marxismo, definendosi “uomo di sinistra e anticapitalista”. Le notti passate a bere, fumare e studiare non gli impediscono di continuare a giocare a calcio, la sua grande passione. Per due anni milita nel Botafogo, nel 1976 dopo la laurea in medicina si trasferisce al Corinthians.
Il Corinthians è la squadra popolare di San Paolo, un club polisportivo fondato dagli operai del quartiere San Francisco nel 1910, con l’idea che chiunque potesse esprimere le proprie abilità nello sport; agli inizi del ‘900 il calcio in Brasile era uno sport elitario, praticato principalmente dai discendenti degli immigrati britannici o da chi lavorava per le compagnie di sua maestà. Il “Tìmao”, questo il soprannome della squadra, diventa in breve tempo la squadra del popolo, degli operai, degli ultimi.
I primi anni del dottore a San Paolo non sono dei migliori, la piazza è molto calda, ma la squadra non vince da molti anni e si aspettano dei risultati sul campo. Sòcrates non accetta l’autoritarismo dell’allenatore, che impone ritiri, doppie sedute di allenamento e in campo ingabbia la sua creatività, pensa che quel modo di gestire la squadra sia il riflesso delle politiche autoritarie del governo applicate alla vita degli atleti. Il fantasista non riesce più a giocare “per puro piacere” come sostenne in una conferenza stampa da lui convocata a metà stagione. Nel 1980 vince il primo campionato con la squadra paulista, ma si sente infelice e frustrato, sente un fuoco riardere dentro di sé, comincia a pensare che quella rabbia possa trasformarsi per diventare qualcosa di nuovo e rivoluzionario. Inizia a giocare con un furore diverso e dopo ogni gol esulta col pugno chiuso come John Carlos e Tommie Smith alle olimpiadi del 1968. 

Sòcrates esulta a pugno chiuso dopo un gol
I risultati latitano ma il suo carisma e la sua leadership non temono confronti, nel 1982 prende forma quello che non si era mai visto: con il benestare del presidente Pires e con l’appoggio del nuovo allenatore e dei compagni Wlàdimir e Casagrande, Sòcrates fonda la democrazia corinthiana, la trasformazione di una squadra di calcio in una democrazia diretta socialista. Tutte le decisioni si prendono a maggioranza dopo aver interpellato tutti i membri della società, dall’orario degli allenamenti alla cancellazione dei ritiri, alle tattiche da utilizzare sul campo di gioco.

  Il primo anno la squadra migliora senza però riuscire a battere il Flamengo di Zico, ma la linea è stata ormai tracciata. La stagione successiva, dopo la delusione per l’eliminazione al mondiale 1982 per mano dell’Italia di Bearzot, la democrazia corinthiana vince il titolo! Si ripeterà l’anno successivo nonostante l’arrivo di un allenatore dai metodi rudi e autoritari.

Sensibilizzazione elettorale sulle magliette del Tìmao

La vittoria più grande però non sono i titoli, la democrazia corinthiana è il centro nevralgico dei movimenti di protesta, delle lotte sindacali, degli scioperi, protagonista della cultura progressista insieme agli intellettuali e agli artisti dell’epoca. Negli anni dell’autogestione spesso comparivano sulle magliette del Tìmao scritte come “democrazia” o “Dia 15 vota”, nel 1983 prima di una partita la squadra entra in campo con lo striscione “Vincere o perdere, ma sempre con democrazia”

 Nel 1984 la dittatura militare dopo grandi manifestazioni fu costretta a concedere elezioni democratiche, nel 1989 dopo 25 anni si tennero le prime elezioni libere nel paese. Sòcrates e la Democrazia Corinthiana contribuirono direttamente con il loro esempio e con la loro lotta alla fine della dittatura.

Anni dopo Sòcrates affermò che gli sarebbe piaciuto morire di domenica con il Corinthians campione, il 4 dicembre 2011 è morto, a soli 57 anni a causa dell’abuso di alcool. Lo stesso giorno il Corinthians si è laureato campione, tutti i giocatori hanno festeggiato alzando al cielo il pugno chiuso.
Oltre alla classe, ai colpi di tacco e il suo incredibile talento, Sòcrates ci ha lasciato l’esempio e la consapevolezza che la lotta per la democrazia e le giustizia sociale deve partire da ognuno di noi e che il calcio può trascendere da semplice gioco per divenire strumento di coscienza, lotta, rivoluzione. Si può vincere o perdere, ma solo con democrazia.


striscione per la democrazia prima di una partita del Corinthians
Fonti:

Solange Cavalcante, Compagni di stadio : Socrates e la Democrazia Corinthiana, Roma, Fandango libri, 2014

Lorenzo Iervolino, Un giorno triste così felice : Socrates, viaggio nella vita di un rivoluzionario, Roma, 66thand2nd, 2014

 http://www.ultimouomo.com/buon-compleanno-dottor-socrates/

domenica 24 giugno 2018

Ortega y Gasset e la crisi spagnola


Il 2017 è stato un anno di grande tensione per la Spagna. Il referendum per l'indipendenza della Catalogna promosso dalla Generalitat ha tenuto l'Europa con il fiato sospeso, e per alcune settimane il paese è sembrato sull'orlo di una frattura insanabile. Nel 2018 il braccio di ferro tra Barcellona e Madrid continua: il 10 maggio la Corte Costituzionale spagnola ha bloccato la cosiddetta legge Puigdemont, che era stata approvata dal Parlamento catalano e che avrebbe permesso alla maggioranza indipendentista di candidare ed eleggere Carles Puigdemont al ruolo di Presidente della Catalogna.
L'emergere di istanze regionaliste e nazionaliste è stata da sempre una costante della vita pubblica spagnola. Cento anni fa un intellettuale madrileno, Ortega Y Gasset, si interrogò su quali fossero le cause di quella che sembrava per la Spagna una “malattia cronica”, e arrivò a conclusioni che possono ispirare riflessioni costruttive anche sulla contemporaneità. La “diagnosi eziologica” di Ortega prese la forma di un saggio, dal titolo eloquente di Spagna invertebrata, pubblicato nel 1922, le cui conclusioni non davano adito a dubbi: le cause della malattia spagnola erano da rintracciare nella storia.
Alla fine dell’Ottocento erano emersi nella vita politica spagnola movimenti nazionalisti. In particolare il movimento nazionalista basco e quello catalano avevano attirato l’attenzione dell’opinione pubblica, anche grazie a una notevole crescita elettorale. I movimenti nazionalisti infatti avevano incanalato il proprio consenso in partiti di massa. Per Ortega y Gasset però il secessionismo basco, catalano e biscagliano non erano che le ultime fasi di un processo di disgregazione iniziato nel 1580.
La Spagna per lo studioso iberico non è una realtà trascendente, ma il frutto di una volontà politica; è nata infatti da un progetto di largo respiro portato avanti dalle uniche realtà politiche della penisola iberica che nel XV secolo erano dotate di sensibilità internazionale: la Castiglia e l’Aragona. La Castiglia soprattutto si era dimostrata capace di “comandare se stessa”. Era stata la regione di più grande prestigio, la più energica, la più forte. Priva della “feroce rustica diffidenza” tipica dell’Aragona, aveva dimostrato di possedere la lungimiranza necessaria per divenire il cuore pulsante di un impero le cui propaggini erano destinate a estendersi fuori dall’Europa
Le imprese vennero compiute: in un secolo la Spagna non solo era diventata la Monarquía universal, el imperio en el que nunca se pone el sol, ma era riuscita attraverso un processo incorporativo non troppo dissimile da quello dell’impero romano, a far sì che realtà sociali eterogenee si integrassero, o addirittura si totalizzassero.
Il processo di incorporazione avrebbe raggiunto il proprio acme nel 1580, anno dell’annessione all’Impero del Portogallo. Da quel momento in poi la storia della Spagna sarebbe diventata la storia di una decadenza, la cui espressione più evidente era la disgregazione territoriale:«Prima si staccano i Paesi Bassi e il Milanese; poi, Napoli. Agli inizi del secolo XIX si separano le grandi province d’oltremare e verso la fine le colonie minori d’America e dell’estremo Oriente. Nel 1900 il corpo spagnolo è tornato alla sua originaria nudità peninsulare.»1.
Nemmeno nel momento in cui “il corpo spagnolo tornò alla nudità peninsulare” si arrestò la forza centrifuga della disgregazione. Nuovi sentimenti nazionali portarono a nuovi particolarismi; la mancanza di una visione politica di largo respiro unita alla capacità dei leader locali di creare dei simboli avevano portato i catalani e i baschi, ma anche i galiziani e gli andalusi, a maturare una nuova consapevolezza di loro stessi.
Da un certo punto di vista le criticità e le contraddizioni della Spagna odierna non sono dissimili da quelle del XVI secolo, ne' da quelle del XIX.
Per Ortega il consolidamento della Spagna p avvenire solo mettendo da parte le velleità dei particolaristi. L’unico modo per restituire l’entusiasmo politico agli spagnoli infatti è quello di metterli davanti alla prospettiva di una grande impresa: questo è uno dei principi basilari dietro il principio di nazionalità. Ma per fare ciò è necessario che le energie degli spagnoli non vengano disperse, e che anzi siano collegate da vincoli di collaborazione e solidarietà.
Nessun movimento inedito, nessuna nuova istanza dovrebbe essere esclusa o soppressa con la violenza. Le energie nuove per Ortega y Gasset non vanno combattute o dissipate, ma incanalate e trasformate in energie nazionalizzatrici. Le forze del cambiamento devono semplicemente trovare il loro posto nel mosaico spagnolo e contribuire a risollevare le sorti del paese.
Idee dalla difficile applicazione, ma di cui i leader politici spagnoli dovrebbero tenere conto.
1 J.Ortega Y Gasset, Spagna invertebrata


Fonti 

A.Dobson, An introduction to the politics and philosophy of Josè Ortega Y Gasset, Cambridge, Cambridge University Press, 1989,

W. Ghia, Ortega y Gasset: liberalismo, socialismo, politica estera, in M.Nacci(a cura di),Figure del liberalsocialismo,Firenze, C.E.T., 2010.

L.Infantino, Ortega Y Gasset. Una Introduzione, Roma,Armando, 1990.

  J.Ortega Y Gasset, Spagna Invertebrata, in Scritti politici di Josè Ortega Y Gasset, a cura di Luciano Pellicani e Antonio Cavicchia Scalamonti,Torino, UTET, 1979.
  L.Pellicani, Introduzione, in Scritti politici di Josè Ortega Y Gasset, a cura di Luciano Pellicani e Antonio Cavicchia Scalamonti,Torino, UTET, 1979.
E. Vigant,Il pensiero di Josè Ortega Y Gasset. La sua arte letteraria, la sua interpretazione della storia, la sua teoria storica, Padova, Cedam, 1968.


La tragedia in Tv: Alfredino







La tragedia in Tv

"Alfredino Rampi"



La sera del 10 giugno 1981 Alfredo Rampi, un bambino romano di sei anni, cade in un pozzo artesiano in via di Vermicino. Le operazioni di soccorso attirano le attenzioni dei media, accorsi sul posto per raccontare un salvataggio in tempo reale e quindi una storia a lieto fine. Con il trascorrere delle ore però appare evidente che il recupero di Alfredo non sarebbe stato né veloce né semplice. Il pubblico italiano intanto si era appassionato alle sorti del bambino, e la Rai diede ampio risalto alla cronaca dell'evento. Le disperate fasi finali delle operazioni di salvataggio vennero coperte con una diretta televisiva di 18 ore.
Per i milioni di italiani che avevano seguito la vicenda, si trattò di un vero e proprio shock.
L'impatto dell'incidente nella cultura italiana è stato profondo. A quei giorni si riconduce simbolicamente la perdita dell'innocenza della televisione italiana e la nascita di tutte quelle trasmissioni che oggi abbondano nel palinsesto italiano: Mattino Cinque, Pomeriggio Cinque, Storie Vere, Chi l’ ha visto?,etc
Da allora l'estetica della narrazione mediatica del dolore e delle tragedie personali iniziò a mutare: era nata la cosiddetta Tv del dolore.

Ma cosa successe esattamente?

La notte tra il 10 e l'11 giugno si scoprì che Alfredo Rampi, smarritosi poche ore prima, si trovava incastrato dentro un pozzo, a una trentina di metri di profondità circa, e si credeva che il recupero del bambino sarebbe avvenuto da lì a breve.
Ad occuparsi per prime della vicenda furono le televisioni private locali, che nel cuore della notte, lanciarono un appello per recuperare una gru. Il caso volle che Pierluigi Pini, inviato del Tg2, assistesse alle trasmissioni e, incuriosito, si diresse verso Vermicino. Da quel momento la notizia inizia a diffondersi a macchia d’olio.
Il palinsesto televisivo di quei giorni stava per essere modificato radicalmente: prima il Tg1 “sforò”, poi le edizioni straordinarie, infine la lunga diretta televisiva.
Nelle intenzioni della Rai, la diretta doveva essere di breve durata. Fino a quei giorni del 1981, non si era mai tentata una lunga diretta fuori dagli studi televisivi, e la Rai quindi non era tecnologicamente attrezzata a far fronte a eventi di questo tipo. I tre telegiornali dell'epoca quindi si ritrovarono a dover disporre delle stesse immagini, visto l'esiguo numero di mezzi di ripresa e trasmissione.
Quando i primi tentativi di salvare Alfredino fallirono miseramente, tra la folla di professionisti e curiosi che si era radunata sul posto iniziò a serpeggiare il dubbio che il recupero del bambino non sarebbe stato affatto veloce: lo scavo di una galleria parallela al pozzo procedeva a rilento per via della conformazione rocciosa del terreno.

Alla tragedia intanto viene dato un volto umano: quello di Francesca Bizzarri, madre angosciata per la sorte del figlio. Nonostante il riserbo della donna, le telecamere cercano insistentemente di testimoniare il suo dolore. Fino ad allora le tragedie private non erano mai state mostrate in modo così esplicito in televisione: ciò rese la diretta dell'incidente di Vermicino un vero e proprio spartiacque per la televisione italiana, che da quel momento in poi registrerà una progressiva perdita della pudicizia di fronte a drammi personali e collettivi.

     Francesca Bizzari, madre di Alfredino

L’arrivo del Presidente della Repubblica Pertini nel luogo dell’incidente da un canto attestò la dimensione nazionalpopolare a cui era assorta la vicenda, dall'altro indusse i media a continuare la diretta, che a questo punto non poteva più essere interrotta.

     Il presidente Pertini all’imboccatura del pozzo

La situazione di Alfredino nel frattempo diventava disperata. Il bambino era scivolato ancora più in basso, a oltre 60 metri di profondità. La soluzione della galleria parallela non era più praticabile. Vennero calati nel pozzo dei soccorritori improvvisati, selezionati per la corporatura minuta. I coraggiosi tentativi dei volontari vennero trasmessi a reti unificate. Angelo Licheri, uno dei volontari, riuscì ad afferrare il bambino, che però malauguratamente si ruppe il polso. 
Anche questo tentativo era fallito.

     Angelo Licheri dopo il tentativo fallito

L'ultimo a scendere nel pozzo, il 13 mattina, fu lo speleologo Donato Caruso, che annunciò ai vigili del fuoco la probabile morte di Alfredo. Quella mattina stessa, la Rai comunicò agli italiani che le speranze erano finite e che con tutta probabilità il bambino era deceduto.
La diretta durò 18 ore, un record, e vi assistettero oltre 28 milioni di telespettatori.

In Italia la cronaca nera, per la prima volta, era diventata uno spettacolo.

Da allora la Tv non sarà più la stessa.