"Dobbiamo riconoscere l'esistenza di un divario tra i bisogni economici della società dei consumi e le esigenze dei fotogiornalisti che portano testimonianza della loro epoca. Dobbiamo prestare molta attenzione per scongiurare il rischio di essere separati dal mondo reale e dal resto dell'umanità".
Henry Cartier-Bresson
Nel
1955 ad Amsterdam un'associazione di fotografi istituì un premio di
fotografia, internazionale tanto nella composizione della giuria che
nella scelta dei vincitori. Nel corso degli anni la World
Press Photo,
fondazione indipendente e no-profit, si è affermata come motore del
più prestigioso concorso di "giornalismo visuale" al
mondo. Concentrandosi non
solo su "semplici" fotografie, ma anche su prodotti
audiovisivi e addirittura multimediali. Ebbene sì. Ci arriveremo. Un
po' di pazienza. Cominciamo a raggiungere il sito web della
fondazione : http://www.worldpressphoto.org/ .
Intanto
ecco come la Fondazione descrive la sua ambiziosa mission : "We
exist to inspire Understanding of the World through quality
Photojournalism". La
fotografia è qui concepita come linguaggio documentario. Sulla
scorta di quanto sosteneva uno dei suoi "padri nobili",
Henry Cartier-Bresson: "Come fotogiornalisti forniamo
informazioni ad un mondo che è sommerso da affanni e pieno di gente
bisognosa della compagnia delle immagini. Offriamo un giudizio su ciò
che vediamo e ciò implica una grande responsabilità".
Riflessione validissima per le nostre società globalizzate e fondate
su sistemi di immagini. Potremmo allora dire che la Fondazione, anche
attraverso le attività informative e le mostre itineranti, coinvolge
il grande pubblico con due generi di proposte. Provare ad osservare
il mondo attraverso le prospettive inedite offerte dal giornalismo
visuale. Ma anche a riflettere e a conoscere meglio quelle
stesse tecnologie che le rendono possibili. Encomiabile sforzo, non
c'è che dire. In fondo, aveva ragione il pittore e fotografo
ungherese Laszlo Moholy-Nagy quando scrisse attorno al 1930 che "non
colui che ignora l'alfabeto, bensì colui che ignora la fotografia
sarà l'analfabeta del futuro".
E
ora cominciamo a navigare. La schermata iniziale si apre su una delle
fotografie premiate nell'ambito del World
Presso Photo Contest 2014.
Nonostante tutte le immagini ritenute significative dalla giuria
vengano collocate a rotazione in questa sorta di "vetrina",
la struttura compositiva di tale scorcio di pagina permane. Sia le
informazioni-chiave inerenti la fotografia sullo sfondo che l'icona
"menu" occupano la parte bassa dello schermo. Le
possibilità a questo punto sono due. Se si intende proseguire sulla
rotta della home
page
basta utilizzare la barra di scorrimento verticale oppure, se si è
rimasti particolarmente colpiti dall'immagine a schermo intero,
cliccare l'icona ad essa sovrimpressa.
La
presenza di medesimi contenuti in diverse macro-categorie e la
coesistenza nella stessa pagina di un argomento dominante affiancato
a "lanci" su altri temi ci fanno capire meglio il concept
del
sito. L'efficace organizzazione formale delle informazioni, sia per
quanto riguarda le loro interrelazioni che la loro comunicazione,
trova un duplice "principio strutturante". Da un lato
l'utente è spronato ad elaborare una propria "mappa di
esplorazione" dei contenuti: campo libero dunque alla
personalizzazione dei percorsi. Dall'altro non viene mai meno il
richiamo, più o meno sotteso, alla conoscenza complessiva di cui si
fa promotrice la
World Press Photo ed
alla sua "filosofia di fondo".
Lasciatevi guidare dalla vostra curiosità !
Ultima
considerazione. Osservate queste fotografie che troverete nella
sezione dell'Archivio (ne parlerò diffusamente a breve). La prima è
stata scattata nel 1994, in Rwanda, da James Nachtway appartenente
alla gloriosa agenzia Magnum. La seconda è la vincitrice del World
Press Photo Contest 2014,
commissionata dal National
Geographic al
fotografo John Stanmeyer. Le didascalie esplicative delle due
immagini le lascio leggere a voi. Prodotti testuali molto istruttivi.
Specie per un comunicatore storico. O aspirante tale. Per ciò che
dicono. Per il modo in cui lo fanno. E per le dirompenti dinamiche
che riescono ad innescare quando vengono affiancate alle rispettive
fotografie di riferimento. Chapeau.
Dopo
ripetuti vagabondaggi nei territori virtuali del World
Press Photo,
mi sono fermata a riflettere su quali sezioni mi avessero colpito
maggiormente per la ricchezza di spunti o per la qualità delle
risorse documentarie. Se entrate nelle Galleries
(categoria che è parte della barra iconica superiore di ogni
schermata), ve le troverete ordinatamente davanti, le mie (si fa per
dire) "miniere": il 2014
World Press Photo Multimedia Contest e il World Press Photo Archive.
Il
World
Press Photo Multimedia Contest
nasce nel 2011 e testimonia l'attenzione che la Fondazione riserva
tanto alle nuove tecnologie della comunicazione quanto ai linguaggi
ad essi correlati. Cortometraggi, lungometraggi e documentari
interattivi: queste le tre sezioni del concorso internazionale. Per
vedere i filmati è sufficiente cliccare sul fotogramma "di
copertina": in tal modo si accederà direttamente al video
oppure la visualizzazione si compirà in altri link, come Vimeo.
Stesso procedimento per quanto riguarda le proposte multimediali. Vi
consiglio di darvi il tempo per approfondire questo settore di sito. Infatti
reputo i prodotti premiati dei rispettabilissimi esempi delle nuove
possibilità offerte dalla combinazione/contaminazione di strumenti
mediatici differenti. Sperimentate il documentario interattivo "The
Short History of Highrise"
di Katherina Cizek: potrete condividere o meno l'idea di storia che
ne emerge, ma a mio avviso è difficile negare l'ingegnosità del
progetto...
L'Archivio
del World
Press Photo Contest
è stato digitalizzato nel 2009 e conserva più di 10 mila
fotografie, ovvero tutte quelle che hanno partecipato al concorso dal
1955 in poi. Perché consultarlo? Chiediamolo direttamente ai
curatori dell'archivio. "Per oltre cinquant'anni il World
Press Photo Contest
ha catturato immagini dei nostri tempi. Il nostro archivio delle
fotografie vincitrici non è solo una raccolta di più di mezzo
secolo di storia umana, ma una esposizione degli stili che si sono
avvicendati in fotografia e nel reportage. Esso include immagini
divenute icone. La fondazione ha deciso di metterle on
line
con lo scopo di condividere la nostra conoscenza, le nostre risorse
ed esperienze con una rete più ampia possibile". Limpida
dichiarazione di intenti, che pone in connessione diretta fotografia
e storia. E proprio su tale relazione ho qualcosa da aggiungere. La
fotografia, antesignana di altre tecnologie dell'immagine, secondo
Sontag "ha reso il mondo una sorta di museo senza pareti e la
storia una collezione di faits
divers".
D'altronde, la fotografia è un "medium invisibile" poiché,
come ci insegna Barthes, essa scompare nel momento in cui mostra
l'oggetto che raffigura. Misteriosa disciplina. Eppure. Per quanto la
fotografia sia "pura apparenza di saggezza e perenne
sentimentalismo", essa ha sempre come referente il mondo ed è
dotata di una storicità propria. Ecco perché, come ci insegna
Sorlin, possiamo usarla come strumento di lettura della società e
della sua evoluzione. A patto di riconoscere i suoi plurimi statuti
di fonte. In
primis,
una fotografia è testimonianza diretta del periodo di produzione,
dal punto di vista tecnico ma anche da quello degli "scenari
storici concreti". Inoltre, essa è riflesso indiretto della
mentalità collettiva e degli immaginari socialmente condivisi.
Infine, il livello di consapevolezza del fotografo e del suo ruolo.
Se terremo conto di questi suoi caratteri, allora, riusciremo a
riconoscere in una fotografia una peculiare fonte storica. E a
sfruttare appieno anche le possibilità offerte da questo archivio.
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