Per
tutto il mese di giugno, al Galata Fotoğrafhanesi di Istanbul si è
tenuta la
mostra “Beyond
Waiting…Stories from Turkey-Armenia Border",
curata
dalla Fondazione Hrant Dink, che porta il nome del giornalista armeno
assassinato a Istanbul nel 2007, di fronte alla sede del suo giornale
Agos. La fondazione si occupa delle
minoranze non musulmane in Turchia e la mostra si inserisce
all'interno del più ampio progetto “Multimedia
for
Dialogue”,
che mira a sfruttare la potenza comunicativa dei new media per una
capillare diffusione del messaggio di cui sono portatori.
Il tema di fondo della
mostra è il secolare conflitto tra la Turchia e la minoranza armena.
Il confine trai i due Stati conserva in sé una ferita storica che
stenta a rimarginarsi; il massacro degli armeni deportati tra il 1915
e il 1916 dal governo dei Giovani Turchi rappresenta ancora oggi un
trauma non superato, un cosiddetto rimosso storico, tale per via del
disconoscimento del genocidio da parte della Turchia.
La mostra ha voluto
dare voce alle storie vissute nel confine tra i due territori, un
confine sigillato nel 1993, che continua a dividere persone, binari,
villaggi. Rimane viva solo la memoria storica dei suoi abitanti, le
speranze, i ricordi e i dialoghi interrotti.
Cinque storie
condensate in altrettanti documentari della durata di circa mezz'ora
ciascuno, realizzati da cinque giovani artisti di entrambe le
nazionalità, nel segno della conciliazione e dell'accoglienza
reciproca. Le digital stories sono ambientate nelle città di
Kars e Gyumri: i primi protagonisti sono i lavoratori di una stazione
nella quale il treno non passerà mai per via del collegamento
interrotto; Kima è una donna che ha atteso per anni che un ospite
dalla Turchia venisse a bussare alla sua porta; i figli di Bayandur che
infrangono il silenzio del confine con la loro musica ; Sofia
attraversa la sua città con gli abitanti di un quartiere in attesa
di demolizione, mentre cerca di ritrovare le tracce di suo nonno; un
curdo e un armeno, infine, lanciano un appello, cercano di capire e
spiegare come affrontare i loro traumi passati, richiamano tutti ad
ascoltare, parlare e agire "al di là dell'attesa".
Le
testimonianze sono state raccolte e trasposte col
linguaggio del moderno Digital
storytelling, storie
raccontate direttamente da chi le ha vissute.
Una
parete bianca e cinque monitor costituiscono il grosso
dell'allestimento, mentre poco materiale cartaceo e qualche immagine
fanno da contorno al percorso espositivo, da non intendersi nel senso
del tradizionale linguaggio museologico, ma come uno spazio capace di
generare memoria, raggiungibile da più direzioni e quindi fruibilie
da più prospettive, che risultano così soggettive, più che
ragionate ed oggettive.
Pensata
in un'ottica circolare della Storia, “Beyond
Waiting…Stories from Turkey-Armenia Border" è
una mostra all'avanguardia che rispetta i dettami dell'era post
elettrica, la nostra, in cui i media consentono un ritorno
all'oralità e stimolano una partecipazione sensoriale più attiva,
dove il mezzo diventa il messaggio stesso, secondo il celebre
aforisma di Marshall
McLuhan.
La funzione della
narrazione e il supporto di strumenti multimediali giocano un ruolo
fondamentale nel rispondere all'intento degli organizzatori, quello
di creare un'interazione efficace tra i protagonisti delle
testimonianze e il pubblico che guarda e ascolta, ma non
solo...partecipa! Poiché lo storytelling è mezzo capace di
coinvolgere lo spettatore, che diventa così esso stesso protagonista
per via della capacità della narrazione orale di rievocare un
vissuto, un ricordo, di procurare inevitabilmente un feedback emotivo
immediato e ineluttabile.
I media, quindi, che
spesso hanno frammentato, o di ciò sono stati accusati, si
riappropriano del merito di riuscire ad unire le persone e a creare
comunità con valori condivisi.